Real Monasterio de San Juan de la Peña

( Monastero di San Juan de la Peña )

L'antico e suggestivo monastero di San Juan de la Peña è un complesso religioso incastonato sotto uno strapiombo roccioso dell'omonima sierra spagnola, sui Pirenei aragonesi, a un'altitudine di 1220 m. Amministrativamente fa parte del piccolo comune di Santa Cruz de la Serós, una ventina di km a sud-ovest di Jaca, capoluogo della comarca della Jacetania, in Aragona (Spagna).

Monumento nazionale dal 13 luglio 1889, il complesso è un bene d'interesse culturale del patrimonio storico spagnolo.

Nel Medioevo  Capitello.

Risalente al X secolo, San Juan de la Peña è il più antico monastero della regione aragonese ed è tradizionalmente considerato la culla del regno d'Aragona: quel luogo appartato fra i monti fu scelto fin dall'VIII secolo per sfuggire all'occupazione musulmana e i suoi monaci, per metà eremiti e per metà guerrieri, costituirono dapprima un punto di riferimento per la sopravvivenza della fede cristiana e diedero poi il via al movimento della Reconquista dell'intera zona. Nella grotta originaria, direttamente nella roccia, sarebbe stata scavata la prima chiesa che conserva ancora alcuni elementi dell'arte mozarabica; essa fu consacrata nel 920, sotto il regno di Galindo III d'Aragona.

A partire dal 1026 iniziarono gli ampliamenti dell'edificio su sollecitazione prima del sovrano Sancho III Garcés di Navarra (che nel 1024 aveva introdotto i benedettini nei suoi territori) e poi del re Sancho Ramírez di Aragona, che nel 1071 cedette il complesso di San Juan alla Congregazione cluniacense favorendone la riforma. Qui il 22 marzo di quello stesso anno venne celebrata per la prima volta la messa nel rito liturgico romano, che da allora sostituì il rito mozarabico utilizzato fino a quel tempo in tutta la penisola iberica, e segnò la sottomissione della chiesa aragonese al pontefice romano.[1]

Con i nuovi lavori di ampliamento e di costruzione, in breve tempo il monastero andò assumendo un aspetto abbastanza vicino all'attuale, compresa la realizzazione del piano superiore con il chiostro romanico (terminato verso il 1190) e il nuovo edificio di culto (la chiesa superiore) al cui interno trovarono posto le tombe dei primi conti e sovrani (i re Ramiro I, lo stesso Sancho Ramírez e Pietro I con le relative consorti) e di molti nobili d'Aragona (Esiste una leggenda nella quale si narra che Jimena Díaz, moglie del leggendario El Cid Campeador, venne sepolta in questo panteon).

 Il chiostro del monastero con, sullo sfondo, l'ingresso alla cappella di San Voto.

Il luogo ebbe particolare rinomanza nel Medioevo, sia come tappa abituale del Cammino di Santiago di Compostela sia perché si riteneva che vi fosse custodito il Santo Graal, qui occultato dai nobili catalani a partire dal 1071 per sottrarlo alle scorrerie musulmane. Nel 1399 i benedettini cedettero il Santo Cáliz a re Martino I di Aragona in cambio di due casse di monete d'oro e di una coppa in oro massiccio (il sovrano lo portò nel suo palazzo di Saragozza, il Castillo de la Aljafería, e, dopo una breve permanenza a Barcellona, dal 1437 si trova nella cattedrale di Valencia).[2]

All'epoca medievale risale la redazione della celebre Crónica de San Juan de la Peña, detta anche Crónica piniatense, che narra la storia generale del regno d'Aragona fin dalle sue origini, compilata in latino fra il 1342 e il 1370 per volontà del re Pietro IV di Aragona. Prende il nome dal monastero di San Juan perché è qui che venne scritta, almeno in parte (circa un terzo dell'intera opera).

In età moderna e contemporanea

Successivamente, dopo un primo devastante incendio nel 1494, il complesso dovette sopportare nel 1675 un secondo rovinoso incendio che, durato tre giorni, ne compromise la struttura al punto da rendere necessaria la costruzione di un "monastero nuovo", realizzato su una spianata più in alto e a un paio di chilometri di distanza (il Llano de San Indalecio). Trasferitisi i monaci, il vecchio monastero restò abbandonato per alcuni secoli andando incontro a un inevitabile degrado finché, a fine Ottocento, non venne restaurato dall'architetto saragozzano Ricardo Magdalena e fu poi dichiarato monumento nazionale il 13 luglio 1889.

 Il "monastero nuovo", costruito alla fine del Seicento.

Anche il nuovo monastero, nonostante la modernità e la razionalità del suo progetto (ideato dall'architetto saragozzano Miguel Ximenez, ma mai realizzato integralmente), fu lasciato dai monaci nel 1835 e fu dichiarato monumento nazionale il 9 agosto 1923. Dopo un vasto lavoro di ristrutturazione interna, ora ospita il Centro de Interpretación del Reino de Aragón (integrato nell'architettura barocca dell'ex chiesa, è uno straordinario sistema audiovisivo che, mediante grandi schermi mobili, racconta le origini e i punti fondamentali della storia del regno aragonese), il Centro de Interpretación del Monasterio de San Juan de la Peña (moderna struttura informativa che utilizza un pavimento di cristallo, immagini tridimensionali, pannelli e schermi tattili per illustrare l'antico monastero) e un hotel a 4 stelle per i visitatori che occupa l'intera ala meridionale dell'edificio. Poiché la strada che collega i due monasteri è piuttosto angusta e non vi è spazio per la sosta davanti al monasterio antiguo, i turisti si fermano negli ampi parcheggi allestiti presso il monastero nuovo e utilizzano un sistema di piccoli autobus navetta per accedere e ritornare dall'antico eremo.

 Pianta dei due piani del monastero.
a) Piano superiore
 1 Forno per il pane.
 2 Pantheon reale.
 3 Pantheon dei nobili.
 4 Museo.
 5 Chiesa superiore (romanica).
 6 Portale mozarabico.
 7 Cappella gotica di San Vittoriano.
 8 Chiostro romanico.
 9 Cappella di San Voto.
b) Piano inferiore
 10 Chiesa inferiore (preromanica).
 11 Sala dei concili.
^ Sul ruolo del monastero di San Juan de la Peña nella politica religiosa dei sovrani aragonesi si può vedere (ES) José Luis Corral Lafuente, El proceso de centralización de los monasterios aragoneses entre los siglos IX y XI, sul sito dell'Università di La Rioja. ^ Cfr. il sito ufficiale della Cattedrale di Valencia Archiviato l'8 marzo 2012 in Internet Archive..
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