Il tempio della Concordia è un tempio greco dell'antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento. Ancora oggi non si sa a chi fosse dedicato questo tempio poiché il suo attuale nome fu coniato nel XVI secolo in riferimento ad un'antica iscrizione latina ritrovata nelle sue vicinanze.
Questo tempio è di tipo periptero con cella doppia in antis.
Insieme al Partenone, è considerato il tempio dorico meglio conservato al mondo.
È stato costruito intorno al 430 a.C. sulla collina dei Templi dell'antica Akragas[1]. Nel 597 d.C. il vescovo Gregorio II trasformò l'edificio nella nuova cattedrale della città di Girgenti intitolandola ai Santi Pietro e Paolo e distruggendo gli idoli pagani di Eber e Raps.[2] La struttura subì diverse modifiche per adattarla a basilica che ne modificarono l'aspetto: fu divisa in tre navate delimitate dalle pareti del naos che furono forate con dodici archi (tuttora visibili), gli intercolunni furono murati mentre l'opistodomo fu abbattuto per consentire l'ingresso dalla parte posteriore in quanto le chiese erano orientate ad ovest a differenza del tempio, che presentava l'entrata verso oriente.[3][4] In epoca normanna, la chiesa fu intitolata al suo fondatore, il vescovo Gregorio (ormai canonizzato), e prese la nuova denominazione di San Gregorio delle Rape, forse in ricordo del demone pagano scacciato dal tempio da Gregorio stesso, come testimoniato dal frate domenicano Tommaso Fazello nella sua grande opera storica De rebus Siculis.[5][1][6][7]
Nel 1748 la chiesa fu sconsacrata[4] e nel 1787 iniziarono i lavori di restauro voluti da Gabriele Castello, principe di Torremuzza, Regio Custode delle antichità per la Val di Mazara, e condotti dall'architetto neoclassico Carlo Chenchi, che ripristinò l'antica pianta dell'edificio, abbattendo i muri degli intercolunni, ricostruendo l'opistodomo e riportando l'ingresso ad est[6][7].
Il 25 aprile 1787 Goethe visitando Agrigento si soffermò sulla Valle dei Templi dove spese grandi parole per il tempio della Concordia ma pose anche delle critiche alla scarsa qualità del restauro praticato dal Chenchi:
«Il tempio della Concordia ha resistito ai secoli; la sua linea snella lo approssima al nostro concetto del bello e del gradevole, e a paragone dei templi di Paestum lo si direbbe la figura d'un dio di fronte all'apparizione d'un gigante. Non è il caso di deplorare la mancanza di gusto con cui furono eseguiti i recenti, lodevoli tentativi intesi a conservare questi monumenti, colmando i guasti con un gesso di bianchezza abbagliante, tanto che il tempio ci si presenta, in notevole misura, come una rovina; eppure sarebbe stato così semplice dare al gesso il colore della pietra corrosa! Certo che a vedere come si sbriciola facilmente il tufo calcareo delle colonne e delle mura, c'è da meravigliarsi che abbia potuto resistere tanto a lungo. Ma appunto per questo gli architetti, sperando in continuatori altrettanto capaci, avevano preso certe precauzioni: sulle colonne si vedono ancor oggi i, resti d'un fine intonaco che doveva blandire l'occhio e insieme garantire la durata.»
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