Abbazia di San Galgano

L'abbazia di San Galgano è un'abbazia cistercense, sita a una trentina di chilometri da Siena, nel comune di Chiusdino. Questa abbazia è stata costruita circa nel 1218.

Il sito è costituito dall'èremo (detto Rotonda di Montesiepi) e dalla grande abbazia, ora completamente in rovina e ridotta alle sole mura, meta di flusso turistico.

 Interno dell'abbazia di San Galgano

Per volontà del vescovo di Volterra Ugo Saladini[1] nel luogo della morte di san Galgano fu edificata una cappella terminata intorno al 1185[2]. Il vescovo a lui succeduto, Ildebrando Pannocchieschi, promosse invece la costruzione di un vero e proprio monastero[3]. Negli ultimi anni della sua vita Galgano era entrato in contatto con i Cistercensi e furono proprio loro a essere chiamati a fondar la prima comunità di monaci che risulta già attiva nel 1201[3]; a quel tempo la chiesa di Montesiepi risultava come una filiazione dell'abbazia di Casamari[4].

Sotto l'impulso di questo primitivo nucleo monastico, ai quali si erano uniti molti nobili senesi e alcuni monaci provenienti direttamente dall'abbazia di Clairvaux[5] nel secondo decennio del XIII secolo si iniziarono i lavori di costruzione dell'abbazia nella sottostante piana della Merse. Il progettista sembra sia stato donnus Johannes[5] che l'anno precedente aveva portato a termine i lavori nell'abbazia di Casamari.

I lavori andarono avanti speditamente, nel 1227 sono testimoniate una chiesa superiore (Montesiepi) e una inferiore[5]. Nel 1228 una delle infermerie era stata completata e l'anno successivo terminarono i lavori di costruzione della cella abbaziale[5]. A dare l'impulso ai lavori fu soprattutto l'enorme patrimonio fondiario che i monaci erano risusciti ad accumulare, grazie a donazioni e lasciti e anche grazie a numerose concessioni ecclesiastiche che permise loro di entrare in possesso dei beni delle abbazie benedettine dei dintorni[3], tanto che alla metà del XIII secolo l'abbazia di San Galgano era la più potente fondazione cistercense in Toscana. Essa fu inoltre protetta e generosamente beneficiata dagli imperatori Enrico VI, Ottone IV[3] e dallo stesso Federico II, che confermarono sempre i privilegi concessi aggiungendone via via degli altri, ivi compreso il diritto di monetazione. Il papa Innocenzo III esentò l'abbazia dalla decima.

Nel 1262 i lavori erano quasi completati e nel 1288 venne consacrata[6]. La grande ricchezza dell'abbazia portò i suoi monaci ad assumere una notevole importanza economica e culturale tanto da spingere la Repubblica di Siena a stringere stretti legami con la comunità[7]. Già nel 1257 il monaco Ugo era stato nominato camerlengo di Biccherna[7], cioè responsabile dell'erario della Repubblica. Il monaco Ugo fu solo il primo di tutta una serie di monaci di San Galgano che occuparono quella carica. Ma i rapporti non furono solo economici. La Repubblica dette infatti ai monaci il compito di studiare un acquedotto che dalla valle della Merse dovesse portare l'acqua a Siena e inoltre i monaci furono tra i primi operai della cattedrale senese[4]; tra gli operai va segnalato frate Melano che nel 1266 stipulò il contratto con Nicola Pisano per la realizzazione del celebre pulpito della cattedrale[7]. Anche nel territorio circostante i monaci fecero degli interventi: dettero inizio ai lavori di prosciugamento e bonifica delle paludi circostanti e regimentarono il corso della Merse per sfruttarne l'energia idraulica; il monastero infatti possedeva un mulino, una gualchiera per la lavorazione dei panni e una ferriera[7].

Nel XIV secolo la situazione incominciò a peggiorare: prima la carestia del 1328 poi la peste del 1348, che vide i monaci duramente colpiti dal morbo, portò all'arresto dello sviluppo del cenobio[7]. Nella seconda metà del secolo l'abbazia, come tutto il contado senese, venne più volte saccheggiata dalle compagnie di ventura, tra le quali per ben due volte da quelle di Giovanni Acuto[4], che scorrazzavano per il territorio. Tali vicende portarono a una profonda crisi nella comunità monastica, tanto che alla fine del secolo essa si era ridotta a sole otto persone[7].

La crisi continuò anche nel XV secolo. Nel 1474 i monaci fecero edificare a Siena il cosiddetto Palazzo di San Galgano e vi si trasferirono, abbandonando il monastero[7]. Il patrimonio fondiario rimaneva tuttavia intatto e tale da scatenare una contesa tra la Repubblica di Siena e il Papato. Nel giugno del 1506 papa Giulio II scagliò l'interdetto contro Siena perché aveva contrapposto il cardinale di Recanati al candidato papale Francesco da Narni per l'assegnazione dei benefici abbaziali. In questo contrasto politico, la Repubblica di Siena, guidata da Pandolfo Petrucci, resistette ordinando ai sacerdoti la celebrazione regolare di tutte le funzioni liturgiche.

Nel 1503 l'abbazia venne affidata a un abate commendatario[7], una scelta che accelerò la decadenza e la rovina di tutto il complesso. Risulta da una relazione fatta nel 1576 che abitasse presso il monastero un solo monaco, che neanche portava l'abito di frate[8], che le vetriate dei finestroni era tutte distrutte, che le volte delle navate erano crollate in molti punti e che, presso il cimitero, rimanevano solo parte delle rovine delle infermerie, demolite all'inizio del Cinquecento. Nel 1577 furono avviati dei lavori di restauro[6], ma furono interventi inutili che non riuscirono minimamente ad arrestare il progressivo degrado. Nella relazione fatta nel 1662 si legge che "La chiesa non può essere tenuta in peggior grado di quello che si trova e vi piove da tutte le parti"[8].

Nella prima metà del Settecento il complesso risultava ormai crollato in più parti e quelle ancora in piedi lo erano ancora per poco. Infatti nel 1781 crollò quanto rimaneva delle volte[2] e nel 1786 il campanile collassò su se stesso; si salvò la campana maggiore, opera del Trecento, ma per poco, infatti pochi anni dopo venne fusa e venduta come bronzo. Negli anni seguenti l'abbazia venne trasformata addirittura in una fonderia, fino a che nel 1789 la chiesa fu definitivamente sconsacrata e abbandonata[8]. I locali del monastero invece diventarono la sede di una fattoria e vennero parzialmente restaurati già nei primi decenni del XIX secolo[4].

Verso la fine dell'Ottocento l'interesse verso il monumento riprese. Si iniziò a ipotizzare il restauro, si fece un rilievo delle strutture architettoniche e tutto l'edificio fu al centro di un corposo studio storico al quale si accompagnò una campagna fotografica eseguita dai Fratelli Alinari di Firenze[8].

Nel 1924 si iniziò il restauro eseguito con metodo conservativo[8] per opera di Gino Chierici, che si ispirò ai principi di John Ruskin. Non furono, quindi, realizzate ricostruzioni arbitrarie o integrazioni: si decise semplicemente di consolidare quanto rimaneva del monastero.

^ Chiusdino e il suo territorio, pag. 88. ^ a b Repett 1833, pag. 14. ^ a b c d Repetti 1833, pag. 13. ^ a b c d Touring 2005, pag. 829. ^ a b c d Chiusdino e il suo territorio, pag. 89. ^ a b Touring 2005, pag. 830. ^ a b c d e f g h Chiusdino e il suo territorio, pag. 91. ^ a b c d e Chiusdino e il suo territorio, pag. 93.
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